L’uomo, la Bestia e la VirtĂą

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L’uomo, la Bestia e la Virtù
di Luigi Pirandello
regia Fabio Grossi
con Leo Gullotta, Carlo Valli, Antonella Attili, Gianni Giuliano,
Silvana Bosi, Bruno Conti, Valentina Gristina, Federico Mancini, Armando Pizzuti, Gianni Verdesca
scene e costumi Luigi Perego
musiche Germano Mazzochetti
luci Gigi Saccomandi

 

Note di regia.

Dopo molti anni di avveduta considerazione, sono arrivato a raccontare, sulle tavole di un palcoscenico, quest’opera di Pirandello, della quale appresso parlerò.

In molti anni, molte attente valutazioni, tanti ricordi, m’hanno sempre di più avvicinato allo svolgere dei fatti di questa commedia: l’aver intravisto nelle qualità interpretative di un attore come Leo Gullotta, grande protagonista delle nostre scene, le sfaccettature del personaggio partorito dalla penna del grande autore agrigentino, m’ha dato la spinta propulsiva per cogliere l’opportunità, offertami dalla direzione del Teatro Eliseo, di dirigere la rappresentazione de L’Uomo, la Bestia e la Virtù.

Essa è “una tragedia annegata in una farsa”, per usare parole già dette, che da una parte ha ben presente il teatro di pochade fine secolo e i suoi meccanismi (le corna, l’enfant-terrible, il rispetto superficiale delle convenzioni che si risolve in cinismo, il pranzo continuamente interrotto), ma che, dall’altra parte, sa correggere l’astrazione di una pura meccanicità. E poi la tragedia, annegata in questo già sapido gioco. Una tragedia che ha le risonanze più tese della parola pirandelliana: conflitto tra essere ed agire, ed anche, alla fine, un rapido e comico gioco delle parti.

Faccio nascere tutto, in questa mia visione, tra il detto e il non detto, tra il bisbiglio e lo schiamazzo, tra il mestiere dell’opportuno e dell’inopportuno, arrivando a sfruttare il folclore della tradizione, per rappresentare la metafora dell’apparire per essere, in un momento d’alta grottesca drammaticità, nella presentazione della maschera sulla maschera della Virtù.

L’Uomo è il “trasparente” professor Paolino, una persona che soffre dell’ipocrisia del mondo, della “civiltà”: essere ben educati vuol dire appunto esser “commedianti” – e vorrebbe un mondo di rapporti espressi nella loro realtà, in opposizione ad ogni falsa convenzione. E vedremo subito come questo piccolo uomo, sarà costretto a comportarsi in modo diametralmente opposto: tutte le sue connessioni, che egli vorrebbe sincere e reali, con i suoi interlocutori, divengono inquinate e finte, per salvare l’unico rapporto che egli crede effettivo e vero, anche se non vuole ammetterlo, perché tocca la sfera dei sentimenti, anzi ne è al centro. L’amicizia con il dottore è strumentalizzata, la spilorceria del farmacista retribuita, e l’odio per la Bestia, il Capitano, si fa ossequio ed adulazione. E tutto questo, appunto, per salvare l’unico rapporto a cui egli tiene, quello con la Virtù, la signora Perella: o meglio, per salvare la faccia di questa beneamata signora.

Non a caso Pirandello fa dire al nostro protagonista: “Ingozziamo, Paolino, ingozziamo”.

Con queste due parole l’Uomo ci fa capire, ma non lo dice però mai, di amarla, questa Virtù, e tira in ballo la pietà che egli ha provato per lei. Ma già al secondo atto questa pietà pronunciata sa trasformarsi in violenza esercitata. Perché Paolino non si conosce poi troppo bene, e risulta “doppio” anche nei confronti di se stesso, dei suoi sentimenti, e la libidinosa sofferenza, che egli prova nel “preparare la Virtù, Dio, per comparire davanti alla Bestia”, ne è sintomo di tutta evidenza. D’altronde Paolino, oltre a non conoscere troppo bene i suoi sentimenti, non conosce per niente l’oggetto del suo amore: ciò che per lui è “la purezza”, altro non è che ipocrisia e strumentalizzazione del maschio, mediante l’aspetto della donna falsificata: da angelo o da puttana.

Come canta una romanza del Tosti “… l’alba separa la luce dall’ombra…”, alla fine, all’alba del nostro percorso temporale, sarà proprio la Bestia, il capitano, il personaggio apparentemente più superficiale, a invocare la verità. Parola mai causale nel contesto pirandelliano. E questa verità, che egli in qualche modo ha subodorato, la chiederà proprio a Paolino, che provocato dalla Bestia a rivelarsi agli altri e soprattutto a se stesso, si lancia in una ipocrita e tragica autodifesa, pronto finalmente a uccidere. Ma in quel momento la sua illusione o, meglio ancora, l’illusione dei suoi sentimenti, crolla: la Virtù appare nel suo vero aspetto.

Quello che egli ha chiamato Amore va chiamato con il suo vero nome: CarnalitĂ .

 

 

 

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