Nel 2000 a Roma, presso il teatro Piccolo Eliseo, è stata presentata una costruzione drammaturgica sulla tragedia sofoclea di Edipo e Giocasta dal titolo Figlio di madre vedova, della quale Fabio Grossi ha curato la regia teatrale, oltre che la scrittura drammaturgica.
Note di regia.
La domanda che ci si è posta nella lettura della tragedia di Edipo e Giocasta, raccontataci da Sofocle e da Lucio Anneo Seneca, è stata: – Ma che forse Giocasta sapesse tutto fin dall’inizio? Che l’istinto di donna, ma soprattutto quello di madre, l’avesse portata a sospettare tutto, e l’amore “completo” che provava l’avesse portata a chiudere gli occhi per l’opportuna convenienza della situazione?
Con l’aiuto delle splendide traduzioni di Giuseppina Lombardo Radice per Sofocle, e di Vico Faggi per Seneca, abbiamo voluto costruire drammaturgicamente la vicenda dei nostri protagonisti sotto l’ottica di questa cogniscenza: intersecando secondo l’opportuno uso la prosa di Seneca ai versi di Sofocle si è voluto rappresentare il grave conflitto di Edipo letto come tormento interiore, raffigurando i vari personaggi della tragedia come le varie sfaccettature dell’animo del nostro protagonista. Troviamo quindi Creonte, antagonista sulla scena, antagonista dell’anima di Edipo: la classica lotta del dualismo, del bene e del male, che vede come comoda risoluzione l’esilio, che in questa soluzione drammaturgica è il mettere da parte il problema che ci disturba, confinandolo in fondo al nostro conscio. Implacabilmente tornerà in superficie, con veemenza e con dolore, come dice il famoso proverbio: le bugie han le gambe corte, presto o tardi, ma arrivano sempre!
Tiresia, il veggente cieco, nella nostra lettura rappresenta il subconscio, la veritĂ nascosta, che lentamente, quasi a tentoni si fa avanti, sorretta da buoni e puri propositi (il fanciullo su cui si poggia il vecchio cieco) per poi esplodere con tutta la sua efficacia. VeritĂ che si rivelerĂ , anche se inizialmente rifiutata, molto dolorosa.
Giocasta sarà di volta in volta “suggeritrice” di Edipo, “consolatrice” del marito, “accusatrice” del figlio. Grande figura di donna, moglie e madre, verrà usata in questa lettura come Deus ex machina, attribuendogli il verso del vecchio servo di Pòlibo: – Non temere cose vane: Merope non è tua vera madre! –. Si darà la morte nel momento in cui prenderà coscienza del fallimento del suo amore: quando Edipo la chiamerà “Madre”; quindi non più donna in quanto tale, ma con un ruolo definito, ruolo in questo caso prodromo della tragedia. Ma ritornerà , ritornerà come Antigone, sua figlia, per completare un percorso ciclico:
donna = madre – moglie – sorella – figlia.