Pensaci, Giacomino

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Pensaci, Giacomino
di Luigi Pirandello
lettura drammaturgica e regia Fabio Grossi
con Leo Gullotta
Liborio Natali, Rita Abela, Federica Bern, Valentina Gristina, Gaia Lo Vecchio, Marco Guglielmi, Valerio Santi
e con Sergio Mascherpa
scene e costumi Angela Gallaro Goracci
musiche Germano Mazzocchetti
luci Umile Vainieri
regista assistente Mimmo Verdesca

voce dei brani cantati Claudia Portale

aiuto regia Bruno Maurizio Prestigio
assistente scenografo Elio Di Franco
assistente costumi Riccardo Cappello
direttore di scena Andrea Cecchini

foto di scena Tommaso Le Pera
foto di locandina Fausto Brigantino

amministratore di compagnia Stefano De Leonardis
organizzazione Carmela Angelini

 

“Pensaci, Giacomino” nasce in veste di novella del 1915 per poi avere la sua prima edizione teatrale, in lingua, nel 1917. Tutti i ragionamenti, i luoghi comuni, gli assiomi pirandelliani sono presenti in quest’opera. Un testo di condanna, condanna di una società becera e ciarliera, dove il gioco della calunnia, del dissacro e del bigottismo è sempre pronto ad esibirsi. E proprio con e da queste caratteristiche che il testo si configura come attuale, contemporaneo.

La storia racconta di una fanciulla che, rimasta incinta del suo giovane fidanzato, non sa come poter portare avanti questa gravidanza: il professore Toti pensa di poterla aiutare chiedendola in moglie e potendola poi così autorizzare a vivere della sua pensione, “per almeno cinquanta anni”, il giorno che lui non ci sarà più. Naturalmente la società civile si rivolterà contro questa decisione anche a discapito della piccola creatura che nel frattempo è venuta al mondo. Una tragedia civile che si configura, così, in tutta la sua morbosa veemenza.

Finale pirandelliano pieno di amara speranza, dove il giovane Giacomino prenderà coscienza del suo essere civile, del suo essere uomo, del suo essere padre e andrà via da quella casa che lo tiene prigioniero, per vivere la sua vita con il figlio e con la giovane madre. Da qui si desume quanto tutto questo possa svolgere il pensiero pirandelliano nei confronti di una società che allora era misogina, opportunista e becera. Racconta di uno Stato patrigno nei confronti dei propri cittadini soprattutto nei confronti della casta degli insegnanti, sottopagati e bistrattati. Grande bella qualità del premio Nobel di Agrigento nel prevedere il futuro di una società, e come raccontava Giovan Battista Vico “corsi e ricorsi storici”, cioè nulla cambia nulla si trasforma e tutto ritorna: ancora oggi si veste dei soliti cenci, unti e bisunti. Una società quindi letta con la mostruosità di giganti opprimenti, presenti, determinanti, dequalificanti.

 

 

 

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